Al giorno d’oggi i media audiovisivi hanno relegato la lettura di un libro cartaceo tradizionale a un’attività quasi obsoleta e considerata superata da molte persone, soprattutto appartenenti alle nuove generazioni. Videogiochi interattivi con storie e finali diversi, canali Youtube, serie TV e film che creano grandi saghe decennali, social media che sono sempre più rapidi e frenetici – non tanto per venire incontro a una presunta mancanza d’attenzione ma, verrebbe da pensare, quasi per provocarla – come TikTok, l’interazione diretta con i creatori di contenuti (dai blog ai live su Youtube, Facebook e soprattutto Twitch)… Tutti questi elementi rendono la lettura “passiva” di una storia fissa e sempre uguale, creata da qualcuno di distante e irraggiungibile in tempo reale, come qualcosa di apparentemente vetusto, l’equivalente di una torcia di fronte allo show laser di un concerto rock o trap.
C’è chi, però, comprende che la narrativa stampata ha caratteristiche uniche difficilmente traducibili in altri media. In effetti, ogni “medium” di per sé ha caratteristiche uniche e intraducibili: questa è la tesi primaria di Alan Moore nella sua polemica rispetto alle “riduzioni cinematografiche” dei suoi lavori. Un’opera come Watchmen è stata pensata specificamente come fumetto e ha senso in pieno solo e unicamente se esperita tramite quel mezzo artistico ed espressivo. E la stessa cosa, ovviamente, si può dire di tutti gli esempi fatti sopra. Per qualche motivo, però, esiste in molti l’implicita convinzione che sia possibile tradurre un romanzo in film, che tale “adattamento” abbia pienamente senso, sebbene sia sotto gli occhi di tutti quanto generalmente vada tagliato e semplificato, in una storia, per permettere al regista di portarla sul grande schermo.
Un classico esempio è la trilogia de Il Signore degli Anelli di Peter Jackson che, per quanto abbia fatto un’opera incredibilmente accurata nel ritratto di scene, personaggi e dialoghi, atmosfera, trama e situazioni (con alcune “libertà”, soprattutto nella seconda parte), rimane un trittico cinematografico estremamente superficiale ed epidermico se paragonato alla complessità e alla profondità mitologica e tematica del materiale originale. Questa non vuole essere una critica ma una banale constatazione di fatto: il libro non è “meglio” perché in generale i libri sono “meglio”. È proprio il fatto che è stato concepito come libro che rende la sua lettura più approfondita e interessante della visione di una riduzione o di un adattamento del materiale. La stessa cosa si potrebbe dire al contrario: le “novelization” di certi film risultano sempre meno interessanti ed entusiasmanti del film stesso, così come il fatto di portare sul grande schermo un fumetto o (che gli dei ce ne scampino) un videogioco. Ogni “medium”, se fatto con la giusta dose di perizia, ha caratteristiche intrinseche che rendono la fruizione della storia nel mezzo espressivo originale più ricca e autentica di qualsiasi trasposizione su altri canali.
Mark Z. Danielewski deve aver pensato tutto questo (o forse non ha pensato affatto a questo specifico tema) quando ha messo mano alla penna per scrivere le prime righe di quello che poi sarebbe diventato House of Leaves (“Casa di Foglie“), il libro più coinvolgente, atipico, anticonformista, incredibile e, francamente, terrificante che mi sia mai capitato di leggere in tutta la mia vita.
House of Leaves viene definito come facente parte di quella corrente conosciuta come “narrativa ergodica”, cioè opere letterarie che prevedono uno sforzo non solo intellettuale ma, talvolta, anche fisico da parte dell’utente. Ne consegue che non è un’opera pensata per essere facilmente fruibile ma, al contrario, la sua presentazione funge da (più o meno consapevole) selezione all’ingresso. Il libro ha una struttura a scatole cinesi non lineare e presenta un layout difficile da seguire, con note a pagine di distanza, capitoletti infilati tra le colonne di testo, ritagli, brani da leggere all’incontrario o con il libro in “verticale”, parole che ruotano attorno alla pagina, pezzi in svariate lingue differenti (che vanno tradotte dal lettore, se vuole comprendere fino in fondo il significato di alcuni capitoli o passaggi), rimandi continui, note a margine o a pie’ di pagina scritte “a mano”, codici segreti e messaggi cifrati e altro ancora. Leggere questo libro è, dunque, a tutti gli effetti un lavoro (“Ergon”).
Ma perché scrivere un’opera di questo genere?
House of Leaves è un romanzo che parla del diario di un tatuatore sull’orlo della bancarotta, il quale cerca di mettere ordine in una mole enorme di fogli sparsi che costituiscono una ricerca accademica scritta da uno studioso cieco recentemente trovato morto nel suo appartamento… Ricerca che si concentra su un film (un documentario, anche se forse dovremmo definirlo “mockumentary”) che commenta una serie di filmati in stile “found footage” ritrovati tempo prima (The Navidson Record)… I quali a loro volta raccontano la storia di una coppia in crisi con due figli che si trasferisce in una casa nuova, casa che sembra avere proprietà inquietanti e fisicamente impossibili. Per non farci mancare niente, questo film, nella realtà fittizia del protagonista, apparentemente nemmeno esiste.
Solo questa impalcatura prevede almeno quattro o cinque “layer” narrativi da seguire contemporaneamente, che spesso si intrecciano e attirano il “focus” d’attenzione mentre l’autore passa con nonchalance da un registro all’altro… E a tutto ciò spesso si aggiungono “commenti” al testo scritti in caratteri “handwriting” a margine, commenti di cui talvolta non conosciamo nemmeno l’autore.
La struttura narrativa stessa, la “forma” del libro, rende la trasposizione su altri media pressoché impossibile. Ma non è finita qui: non solo il romanzo è intraducibile in termini di serie televisive o di cinema (sebbene prima o poi ci tenteranno lo stesso di sicuro), ma è anche intraducibile a livello linguistico. Il fatto che alcuni capitoli contengano non meno di tre livelli di giochi di parole, codici segreti nascosti nel testo, cifrari e messaggi che il lettore deve ricostruire (ad esempio, prendendo solo le iniziali delle parole di un certo paragrafo) rendono l’impresa di tradurre House of Leaves a tutti gli effetti impossibile. Qualsiasi tentativo di traduzione porterà inevitabilmente alla necessità di “tagliare” parte di questi contenuti aggiuntivi e nascosti che non sono esplicitamente parte del testo ma, in qualche modo, sono contenuti in esso “tra le righe” o in modo implicito e occulto. Come se il libro contenesse altri libri che vanno al di là delle parole fisicamente stampate sulla carta.
E vista la natura “ergodica” del layout delle pagine e di questi continui rimandi, la possibilità di leggerlo in formato elettronico (soprattutto in ebook – sebbene anche un eventuale pdf risulterebbe molto tedioso) è altrettanto improbabile. House of Leaves non è un libro che si può tradurre in altri media, che si può digitalizzare e leggere sul Kindle, che si può (in modo convincente e completo) tradurre in altre lingue, né è possibile farne un audiolibro. L’autore ha realizzato volontariamente e consciamente un’opera che si può esperire correttamente solo e unicamente in un modo: leggendolo in lingua originale con una copia cartacea. Qualsiasi altro metodo risulta monco e zoppo per non dire fisicamente impossibile.
Al di là dei contenuti del libro (e della storia terrificante che racconta), questa caratteristica unica lo rende una dimostrazione pratica della peculiarità di ogni “medium” nonché della rilevanza che ancora oggi, in quest’epoca di formati digitali e di contenuti sempre più estemporanei, può avere un romanzo stampato e distribuito in formato cartaceo. Di quanto “l’oggetto libro” non sia semplicemente “un modo” per esperire una storia ma abbia proprietà impossibili da trasferire altrove.
Non entro nel merito della storia perché non voglio rovinare la sorpresa a nessuno né fare spoiler (più di quanto abbia già fatto). Mi limito a dire che le pagine sono come le classiche molliche di pane da seguire dentro un bosco fatto di altri boschi tetradimensionali, una storia che non si limita ad andare dal “prima” al “dopo” in modo lineare ma si sviluppa anche “lateralmente”, verso l’alto e – soprattutto – verso il basso. Se Borges, King, Lovecraft, Ligotti e Barker avessero avuto una lunga discussione – da ubriachi – su come scrivere insieme “l’horror definitivo”, probabilmente avrebbero messo giù le idee e la trama di un libro simile a questo.
Per quanto mi riguarda, ci sono alcune opere che definiscono la nostra vita tra un “prima” e un “dopo”. The Ring e The Blair Witch Project, almeno per me, sono certamente state opere di questo tipo… film che hanno diviso nettamente la mia esperienza visiva tra il “prima” e il “dopo” averli visti. House of Leaves è un libro così: la vostra vita verrà decisamente divisa tra gli anni che avete vissuto senza averlo letto e gli anni che sono passati da quando siete entrati in quella casa.
Come nota a margine, però… Parlando di film, quello che a mio parere si avvicina di più alle atmosfere di questo libro è senza alcun dubbio Lake Mungo.
L’unico modo in cui potrebbe essere possibile tradurre efficacemente questa esperienza – mantenendo l’aspetto ergodico che è *fondamentale* per la fruizione corretta della storia – potrebbe essere tramite un ARG (“Alternate Reality Game” o “Gioco di Realtà Alternativa”)… Un gioco interattivo multimediale diviso su molte piattaforme in cui lo “spettatore” deve agire attivamente per tirare le fila delle varie trame e comprendere il significato generale della storia che gli viene raccontata. Una storia che dovrebbe svilupparsi tra pubblicazioni cartacee da riuscire a procurarsi, canali Youtube, dirette su Twitch, account TikTok, blog dedicati, pagine e account personali su Facebook, interazione tramite software di messaggeria instantanea (Discord, Telegram, Signal), invio di materiale (audio, video, foto, documenti), e molto altro ancora.
Solo allora, forse, sarebbe possibile vivere un’esperienza simile a quella che vi aspetta tra le pagine di House of Leaves.
E tutto quello per sostituire un semplice libro.
Questo è il tipo di intricato viaggio infuso tra le righe dell’opera.
E non è un caso che proprio House of Leaves sia stato palesemente lo spunto di ispirazione per alcuni dei primi ARG in assoluto comparsi su Youtube (uno tra tutti, Marble Hornets). Non è un caso che questo libro venga citato più di ogni altro quando si parla di nuove forme di narrativa non convenzionale, interattiva e multimediale. Vorrei ripetermi per far comprendere bene quanto sto cercando di dire: un libro stampato in formato cartaceo è stato l’ispirazione per la creazione e la nascita di nuove forme di intrattenimento interattivo digitale sulla rete. Questa è la potenza che la carta stampata può ancora avere nel 2021 (beh, almeno nel 2000, anno di uscita del romanzo).
Quindi, come consiglio personale, procuratevi una copia fisica di House of Leaves in lingua originale e leggetelo. Leggetelo prendendovi il vostro tempo… ci sono capitoli o addirittura singole pagine su cui può valer la pena rimanere per giorni o anche settimane. E se, arrivati alla fine, pensate di non aver colto tutti i significati nascosti e i diversi livelli di lettura che Danielewski ha infilato nella storia, non preoccupatevi: la rete è piena di analisi estremamente approfondite di ogni singolo dettaglio del libro. Ma, se posso dare un secondo consiglio, andate a consultarle solo *dopo* aver letto tutto e aver fatto voi il “lavoro” di cercare di decifrare gli enigmatici contenuti della storia con le vostre sole forze.
E comunque. L’ho detto che è un libro assolutamente terrificante?